Dal 1945 al 2005

 

FRA TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: LA LUNGA TRAVERSATA DEL DESERTO DAL 1945 AL 2005

Dopo vent’anni di oblio, con la caduta del regime fascista la massoneria riemergeva all’interno della scena nazionale. Già nel febbraio del 1945, un rapporto confidenziale americano sosteneva che la liberamuratoria in Italia sembrava orientata a dare vita a una sorta di partito democratico che rappresentasse quanti si riconoscevano nella tradizione democratica post-risorgimentale. Nel documento venivano inoltre sottolineate le differenze che esistevano tra coloro che si richiamavano alla tradizione laicista e progressista del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, e coloro che si rifacevano alle posizioni conservatrici della Gran Loggia di Piazza del Gesù. Secondo il rapporto, i primi erano di spiccate tendenze repubblicane - con una componente favorevole al Movimento federalista europeo - e avevano costituito, fin dal luglio del 1943, un provvisorio «Governo dell’Ordine massonico italiano» che aveva a sua volta riattivato le logge ‘dormienti’ e dichiarato la volontà di combattere tutti i dispotismi in base ai principi di uguaglianza e fratellanza. Il 10 giugno 1944 veniva diffuso a Roma un manifesto, firmato da Umberto Cipollone, Giuseppe Guastalla ed Ermanno Solimene, che annunciava la rinascita del Grande Oriente d’Italia, e immediatamente dopo si costituiva un «Comitato di Gran maestranza» formato dallo stesso Cipollone, da Guido Laj, prosindaco di Roma, e da Gaetano Varcasia, consigliere di Cassazione. Il ‘triumvirato’ così composto affidò la carica di Gran Maestro a Giuseppe Guastalla, primo Gran Sorvegliante a Palazzo Giustiniani nel 1925, e quella di Gran Maestro onorario a Enrico Presutti, rimarcando in tal modo il legame con la massoneria dell’età liberale. In quei mesi il Grande Oriente d’Italia aveva progressivamente intensificato la propria attività nei settori del paese liberati dagli alleati, arrivando a contare circa 30 logge, di cui 6 a Roma. Ciò induce a pensare che, malgrado la repressione attuata durante il Ventennio, alcuni esponenti del Grande Oriente avessero in qualche modo continuato a mantenere i contatti tra di loro. Uno degli elementi caratterizzanti l’indirizzo ‘giustinianeo’ impresso alle logge che si stavano allora ricostituendo fu il dibattito sull’atteggiamento da assumere nei confronti degli aderenti di religione cattolica. Si giunse alla conclusione che questo aspetto non avrebbe impedito l’entrata nell’organizzazione ma, tenuto conto dello specifico caso italiano, si chiedeva agli iniziati di essere cattolici non professanti. Per quanto riguardava invece l’eventuale rapporto con esponenti del decaduto regime fascista, venivano al contrario considerati inammissibili coloro che avevano ricoperto cariche all’interno del partito o svolto attività di primo piano nella vita pubblica. Per quel che concerneva la riorganizzazione di quanti si rifacevano all’esperienza della massoneria di Piazza del Gesù, la situazione appariva più confusa e piena di discordie, in primo luogo a causa della discussa figura di Raoul Palermi, il quale, tenutosi in disparte fino alla liberazione di Roma, aveva ricominciato a distribuire tessere e diplomi massonici, attestandosi su posizioni monarchiche. Molti massoni lo accusavano non soltanto del compromettente comportamento tenuto durante il regime fascista ma anche del fatto di aver fondato, nel 1926, un’associazione paramassonica intitolata a San Giovanni di Scozia, la cui presidenza era stata offerta a Mussolini. Non mancarono insinuazioni sui vantaggi personali da lui ottenuti durante il Ventennio, quando, stando agli accusatori, gli venne affidato un impiego di ispettore marittimo presso il Ministero delle Comunicazioni - mentre accadeva che altri, per il solo fatto di essere massoni, venivano in quegli anni condannati al confino. Malgrado tali trascorsi, nel gennaio del 1945 Palermi diede alle stampe un manifesto nel quale dichiarava lealtà e fiducia alle forze alleate e auspicava un plebiscito per decidere della futura forma istituzionale ma, allo stesso tempo, si augurava il pieno rispetto dei Patti lateranensi (mostrando di ritenere l’autorità della Chiesa un elemento essenziale per il futuro della nazione e dell’umanità). Un altro esponente di spicco di questa corrente della massoneria fu l’avvocato Domenico Maiocco, che, secondo alcune testimonianze, svolse un ruolo di primo piano nelle concitate fasi che precedettero la riunione del Gran Consiglio del Fascismo tenutasi la sera del 24 luglio, facendo pervenire a corte l’ordine del giorno in discussione. Ex socialista, Maiocco era stato condannato al confino per attività antifasciste e durante la guerra aveva stretto buoni rapporti con il principe ereditario Umberto. Anche se le polemiche contro Palermi causarono il sorgere di almeno cinque gruppi massonici, non mancarono in quel periodo chiare spinte verso l’unificazione. In tale contesto occorreva tuttavia conciliare le posizioni dei giustinianei, favorevoli alla Repubblica e contrari a un accordo con il Vaticano, con quelle degli affiliati a Piazza del Gesù, la cui maggioranza era al contrario favorevole alla Monarchia e a un’apertura verso la Chiesa cattolica. In base a un rapporto del ministero degli Interni, sembra che ancor prima che la guerra finisse operassero, in feroce polemica tra loro, una decina di obbedienze. Il rapporto, in ogni caso, indicava come organizzazione di riferimento per l’universo massonico il GOI, di cui facevano parte diversi ministri del governo Bonomi: Marcello Soleri al Tesoro, Meuccio Ruini ai Lavori pubblici e Francesco Cerabona ai Trasporti. Il 21 giugno 1945, con la nomina di Ferruccio Parri a presidente del Consiglio, Soleri mantenne il suo ministero e Ruini passò alla Ricostruzione, mentre entrarono a fare parte del governo Pietro Nenni, ministro per la Costituente, e Mauro Scoccimarro, ministro delle Finanze, entrambi indicati nel 1948 dall’ambasciatore americano a Roma, James Clement Dunn, come appartenenti alla massoneria. Benché l’attività liberomuratoria stesse espandendosi su tutto il territorio nazionale, l’inserimento delle logge italiane nel circuito massonico internazionale continuava a rappresentare un fattore di primaria importanza: da qui la pressante necessità di intensificare i rapporti con le Gran Logge americane. Il riconoscimento internazionale finì tuttavia per diventare un ulteriore terreno di contrasto tra le varie obbedienze di Piazza del Gesù da una parte, e il Grande Oriente d’Italia dall’altra. Vennero pertanto battute due strade: le prime tentarono di avviare contatti ufficiali con le organizzazioni americane del Rito Scozzese, mentre i giustinianei del GOI cominciarono a stringere rapporti personali con i confratelli americani e inglesi fin dall’epoca dello sbarco degli alleati in Sicilia, rafforzando così tanto le relazioni - via via che questi avanzavano verso il nord della penisola - al punto che i massoni inglesi e americani presero non soltanto a frequentare le logge italiane, ma giunsero a organizzarsi nella «Tibet River Masonic Club», che aveva come primo iscritto il comandante della V armata, Mark W. Clark. Tali legami facilitarono il riconoscimento del Grande Oriente d’Italia, che avvenne in seguito alla visita di una delegazione autorizzata dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman. In una relazione inviata alla Masonic Service Association - organo di collegamento delle 50 Gran Logge nazionali statunitensi -, la commissione stabilì che, tenuto conto che il gruppo di Palermi si era rivelato fin troppo compromesso con il passato regime, l’unica organizzazione che poteva considerarsi affidabile era il GOI (benché gli americani continuassero ad auspicare l’unificazione delle forze massoniche in Italia). Il riconoscimento americano e la frequentazione nelle officine italiane di soldati e funzionari inglesi e statunitensi contribuirono senza dubbio ad accelerare il processo di trasformazione della massoneria della penisola. Com’è noto, il presidente Truman (già Gran Maestro della Loggia del Missouri) abbandonò nel corso del suo mandato la politica internazionale perseguita dal suo predecessore, passando dal dialogo al confronto diretto tra le due superpotenze: secondo la nuova amministrazione americana, nell’ottica di una politica di scontro e di contrasto dell’influenza sovietica in Europa la massoneria poteva svolgere un ruolo importante all’interno della società italiana, non permettendo «l’infiltrazione ai vertici [del paese] di comunisti al servizio del materialismo». Il GOI riuscì a ottenere il riconoscimento americano anche grazie alla fusione con uno dei tanti gruppi ‘scozzesisti’, guidato da Tito Signorelli, esponente di primo piano della Chiesa metodista in Italia. Non riuscirono invece ad assicurarsi una legittimità internazionale i diversi gruppi che si rifacevano alla tradizione di Piazza del Gesù. Le ragioni di tale impedimento risiedevano ancora una volta nell’atteggiamento fortemente critico tenuto nei confronti di Palermi: oltre al fatto di essere stato un confidente dell’OVRA fino al settembre 1943, costui era stato estromesso dal ruolo di membro onorario del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato (Giurisdizione Sud - Washington) per aver pubblicato «[...] a letter [...] in which he stated that he had quit Freemasonry in 1926, and was a firm supporter of Premier Mussolini and that he must sacrifice his association with Freemasonry». Ciò nonostante, nel 1949 le obbedienze di Piazza del Gesù si unirono in un unico organismo e inoltrarono nuovamente una richiesta di riconoscimento a John H. Cowless, capo della potentissima Giurisdizione Sud, che anche in questo caso, mantenendo inalterata la propria diffidenza, rifiutò. Sul piano degli orientamenti politici assunti dalle diverse organizzazioni liberomuratorie, vi era una sostanziale divergenza di posizione tra il GOI e la maggioranza dei gruppi di Piazza del Gesù: benché si dichiarassero apartitici e apolitici, i diversi schieramenti mostravano di nutrire opinioni differenti sia sull’ordinamento istituzionale da dare allo Stato, sia sui rapporti da tenere con la Chiesa cattolica. Relativamente al dibattito sui rapporti tra Stato e Chiesa, i vertici del GOI indirizzarono una circolare alle logge aderenti in cui veniva chiesto loro di battersi per la laicità dello Stato e per l’aconfessionalità della scuola. In questo senso, il Gran Maestro Guido Laj tentò di elaborare una strategia di convergenza con la Sinistra fondata sulla lotta anticlericale, sull’istituzione del divorzio e sulla difesa della scuola laica, ma ottenne un netto rifiuto da parte dei dirigenti comunisti, i quali ribadirono la propria posizione antimassonica le cui origini risalivano al massimalismo socialista e all’Internazionale comunista. Questa rigida pregiudiziale, unita all’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa - votato anche dal Partito comunista italiano in nome della pace religiosa -, sancì definitivamente le scelte filoccidentali e anticomuniste dei liberomuratori italiani, aprendo così la strada a una massoneria molto diversa, almeno fino alla metà degli anni sessanta, da quella attiva nel periodo liberale, caratterizzata dall’assenza di velleità politiche e fortemente in crisi sul piano di nuove adesioni. Nei decenni successivi il GOI, in quanto portatore di valori laici e liberal democratici, subì l’ostilità della cultura cattolica e di quella comunista: in questo contesto venne inserito nell’articolo 18 della Costituzione il divieto di dare vita ad associazioni segrete con il fine recondito di colpire la massoneria, ignorando che quest’ultima, come gli stessi partiti politici che sedevano nell’assemblea costituente, aveva dismesso la sua struttura, necessariamente segreta per resistere alla tirannia fascista. Fortunatamente questo articolo non provocò su di essa alcuna ricaduta repressiva. Le simpatie per la Sinistra di buona parte dei giustinianei servirono, almeno fino al 1948, da pretesto per altri gruppi massonici, come per esempio quello fondato a Bari da Liborio Granone, per lanciare l’accusa di comunismo contro il GOI al fine di indurre le Gran Logge americane a negare il proprio riconoscimento. Un grande sforzo fu messo in atto dalla dirigenza giustinianea per correre ai ripari, e in questo senso si rivelò fondamentale la missione compiuta nel 1948 dal gran tesoriere Publio Cortini presso i Grandi maestri americani: la difesa di quest’ultimo dell’operato del GOI ebbe buon esito e i riconoscimenti vennero confermati. Malgrado il clima sfavorevole che si era venuto a determinare, il GOI portò a compimento la propria riorganizzazione interna. Nel 1949 fu approvata la nuova Costituzione anche grazie all’impegno profuso dal Gran Maestro Guido Laj, che non riuscì tuttavia a portare a termine la propria opera a causa della morte, avvenuta il 5 novembre 1948. L’eredità lasciata dalla prematura scomparsa del Gran Maestro poneva problemi di non facile soluzione. Se sul piano internazionale si era ottenuto il pieno rientro dei giustinianei nel consesso massonico mondiale, a livello interno occorreva colmare il divario, non solo anagrafico ma anche culturale, che separava i giovani, nati e cresciuti nel periodo fascista, dai vecchi massoni che, avendo vissuto la straordinaria stagione della massoneria dei primi anni del Novecento, non riuscivano a comprendere che la situazione politica e sociale era radicalmente mutata e che il Grande Oriente d’Italia stava in buona parte cambiando il proprio corredo genetico. Dopo l’assunzione interinale della gran maestranza da parte di Umberto Cipollone, la scelta cadde sull’avvocato Ugo Lenzi, l’uomo ideale per gestire la complessa situazione. Esponente di primo piano del socialismo bolognese e dotato di notevole statura politica e morale, Lenzi rappresentava per la Comunione italiana un esempio di coerenza massonica. Infatti, pur essendo stato candidato al parlamento nelle file del Partito socialista, nel 1914 si dimise in seguito alla deliberazione del congresso di Ancona che, su proposta di Mussolini, aveva stabilito l’incompatibilità dell’appartenenza alla massoneria per i socialisti; e lo fece, a differenza di molti altri che nascosero la propria appartenenza massonica, con una pubblica dichiarazione di rinuncia a tutte le cariche di partito. Antifascista convinto, fu uno stretto collaboratore di Domizio Torrigiani, conosciuto a Ponza. Militante nel movimento Giustizia e Libertà, dopo la fuga dal confino si rifugiò in Francia, dove strinse un solido legame con i fratelli Rosselli. Ritornato in Italia subì più volte l’arresto e al termine della guerra si dedicò completamente all’attività massonica. Il grande dilemma che Lenzi dovette subito affrontare era rappresentato dall’atteggiamento che la massoneria doveva tenere nei confronti della politica. La questione era delicata e le stesse Costituzioni, volute dal suo predecessore, contribuivano a complicare ulteriormente il problema. Se infatti l’articolo 2 ribadiva il concetto stabilito nel 1906, e cioè che la Comunione italiana propugnava il principio democratico nell’ordine politico e sociale, il contenuto dell’articolo 3 nei fatti lo smentiva, poiché dichiarava che la massoneria «non è settaria né politica». La formula «politica ma non politicantismo», coniata da Lenzi nel proprio discorso di insediamento, non sciolse tuttavia i nodi del problema. Il vero merito del Gran Maestro fu quello d’indirizzare il GOI verso un’inflessibile difesa dei valori laici della società italiana, messi più volte in discussione dal nuovo corso politico scaturito dalle elezioni del 1948. Egli capì inoltre che la trasparenza e la visibilità erano vitali per la sopravvivenza della massoneria in Italia: la deposizione delle Costituzioni presso il tribunale, e la partecipazione, con i labari delle logge italiane, all’inaugurazione del monumento di Mazzini sull’Aventino, sono soltanto due esempi di questo modo di intendere la questione. La svolta così impressa non venne però purtroppo portata avanti dai suoi successori e, benché recentemente essa sia stata riaffermata, sembra difficile poter porre rimedio al danno compiuto. La morte improvvisa di Lenzi, avvenuta nell’aprile del 1953, aprì la successione all’industriale romano Publio Cortini, che tuttavia non seppe - o non volle - portare avanti il programma laicista impostato dal suo predecessore. Ebbe quindi inizio un lento declino, durante il quale il GOI si mostrò sempre meno capace sia di interagire con la società civile sia di unire le proprie forze con coloro che, seppur faticosamente, si opponevano all’influenza clericale che la Chiesa e le sue organizzazioni esercitavano anche grazie al sostegno assicurato dai governi centristi. Privato del prestigio politico di Lenzi e costretto, per motivi professionali, a partecipare ad alcuni concorsi pubblici, e per questa ragione ad avere contatti e rapporti con esponenti appartenenti alla Democrazia Cristiana, il nuovo Gran Maestro finì per rompere con la tradizione storica del GOI, fatta di ritualità e simbolismo ma anche di impegno civile. Questo nuovo corso, unito alla sfavorevole congiuntura politica, provocò una forte diminuzione degli iscritti. Per bilanciare questo immobilismo interno e per rispondere alle lamentele che provenivano da numerose logge, la dirigenza del GOI intensificò i propri rapporti con l’estero, aderendo a una Convenzione stipulata dalle massonerie olandese, svizzera, austriaca, tedesca e lussemburghese con il chiaro intento di sostenere il ‘sogno’ europeista che stava affermandosi proprio in quegli anni. Un altro strappo con la tradizione laicista si verificò in seguito alla decisione di interrompere i contatti con il Grande Oriente di Francia: dopo quasi un secolo di relazioni fraterne e di rapporti assidui ci si accorse che quest’ultimo era irregolare, dal punto di vista dell’«ortodossia liberomuratoria», per il fatto di aver rinunciato a imporre ai propri membri la credenza nel Grande Architetto dell’Universo. Quest’incapacità di opporsi al clima culturale e politico degli anni cinquanta venne contestata da molti fratelli che non si rassegnavano all’idea di una massoneria che avesse rotto con il passato e si fosse chiusa nelle proprie logge. Il disagio si manifestò nel corso della Gran Loggia che si tenne a Genova nel giugno del 1957; alla fine dello stesso anno Cortini si dimise. Con l’elezione dell’anziano avvocato Umberto Cipollone molti pensarono che potesse realizzarsi un ritorno alle origini, ma l’Istituzione aveva ormai iniziato un percorso irreversibile. Dell’esperienza politico e sociale del periodo prefascista, il GOI conservava ben poco e anche in campo rituale le carenze erano numerose. In termini di ricaduta positiva, l’apertura verso le altre obbedienze straniere consentì tuttavia ai giovani di approfondire, anche con strumenti filologicamente aggiornati, le fonti autentiche della massoneria, rappresentate dagli insegnamenti tradizionali dell’esoterismo liberomuratorio che in Italia furono per molto tempo trascurati. Nel frattempo, il Supremo Consiglio del RSAA - legato al GOI - si fuse con quello proveniente da Piazza del Gesù, che da parte sua deteneva il riconoscimento del Supremo Consiglio di Washington. Il risultato fu una riunificazione con una delle tante Obbedienze che si riconoscevano come eredi della scismatica Gran Loggia costituita nel 1908, mentre altre frazioni della discendenza di Piazza del Gesù si aggregarono negli anni successivi. La cesura simbolica con il glorioso passato del GOI avvenne sotto la gran maestranza dello scienziato Giorgio Tron, eletto nel 1960. In quell’anno il GOI perse definitivamente - al termine di una lunga vicenda giudiziaria per ottenerne la restituzione - la propria sede storica di Palazzo Giustiniani, ceduto con la forza alla stato fascista nel 1927. Agli inizi degli anni sessanta il Grande Oriente d’Italia aveva completato la propria trasformazione. Coloro i quali avevano vissuto la massoneria dell’età liberale erano scomparsi, e i giovani che erano entrati nell’Istituzione nel secondo dopoguerra mostravano di avere le idee confuse: la massoneria era una scuola iniziatica o una scuola di pensiero laico? Non capirono o, meglio, non erano forniti degli strumenti culturali adatti per capire che entrambe le scuole potevano coesistere e integrarsi. Quanti facevano capo alla corrente esoterica puntarono sulla figura del ravennate Giordano Gamberini, che fu eletto nel 1961. L’aspettativa di avere un Gran Maestro con spiccate propensioni verso il simbolismo esoterico venne tuttavia ben presto delusa. Più che un cultore dell’esoterismo, Gamberini dimostrò di essere un abile diplomatico con in mente un obiettivo ambizioso: ottenere il riconoscimento della Gran Loggia Unita d’Inghilterra e portare così il GOI nell’ambito di una piena regolarità massonica. I tempi erano ormai maturi, ma per raggiungere questo scopo era necessario compiere strappi dolorosi, come la rottura dei rapporti con la Gran Loggia di Francia, contestandone in primo luogo l’irregolarità dei legami col Grande Oriente. In tal modo si potevano instaurare dei rapporti con la Gran Loggia Nazionale Francese, condizione indispensabile per ottenere il riconoscimento inglese. Pur rappresentando un passaggio complesso e delicato, lo strappo si rivelava tuttavia inevitabile al fine di chiudere i conti con un’epoca, e con essa con un modo di pensare e di agire. Anche se generalmente condiviso, quest’atto si rivelò per molti doloroso, in particolare per coloro i quali ricordavano il sostegno assicurato dalla Gran Loggia di Francia agli esuli massoni antifascisti in un momento in cui altre obbedienze, delle quali ora si cercava l’amicizia, lo avevano pavidamente rifiutato. La gran maestranza di Gamberini fu contraddistinta da un andamento non lineare, caratterizzato da un lato da momenti di grande apertura culturale e, dall’altro, da una gestione della struttura che lasciava ampi spazi a derive di segretezza decisamente pericolose e sconosciute alla stragrande maggioranza degli iscritti. Conscio del ruolo fondamentale che l’informazione poteva svolgere, il GOI ricominciò a pubblicare, a partire dal 1965, un proprio organo di informazione che si rifaceva, utilizzando il titolo di «Rivista massonica», alla testata curata per oltre cinquant’anni da Ulisse Bacci. L’iniziativa fu preceduta da un lodevole intervento in campo culturale rappresentato dal finanziamento della rivista «La Cultura», fondata nel 1881 da Ruggero Bonghi e diretta a partire dal 1963, dopo varie vicende, da Guido Calogero. Non tutti, all’interno dell’Istituzione, mostrarono tuttavia di saper cogliere né l’importanza della «filosofia del dialogo» sostenuta da quest’ultimo in una fase cruciale per la società italiana, né il ruolo di primo piano che questa rivista poteva svolgere nella diffusione dei principi di fratellanza, tolleranza e solidarietà - capisaldi del pensiero massonico. Un altro momento di apertura fu rappresentato dalla serie di incontri, iniziati ad Ariccia nell’aprile del 1969, con esponenti della Chiesa cattolica. Dopo secoli di anticlericalismo da una parte e antimassonismo dall’altra tali incontri rappresentarono una svolta, anche se pochi sottolinearono il fatto che il GOI partecipò a essi con delegazioni di massimo livello, Gran Maestro in testa, mentre il Vaticano inviò i propri esperti in questioni massoniche che non occupavano alcuna carica nella gerarchia cattolica. I1 dialogo non mutò la situazione esistente, ma ebbe se non altro il merito di soddisfare entrambe le parti coinvolte: grazie a esso il GOI poté dimostrare alla massoneria britannica di aver sconfessato definitivamente l’anticlericalismo; la Chiesa ebbe invece l’occasione di acquisire nuove conoscenze sul Grande Oriente d’Italia. Vista dall’esterno, la conduzione di Gamberini aveva di fatto consentito un rilancio dell’Istituzione a livello sia nazionale sia internazionale, anche se contestualmente prendevano corpo al suo interno - e all’insaputa della stragrande maggioranza dei suoi aderenti - fenomeni di aggregazione che avrebbero cambiato la storia del GOI, influendo in modo assai negativo sulla sua immagine. Nella primavera del 1969 Lino Salvini si candidò alla successione di Gamberini, disposto ad assicurare il proprio appoggio e quello di alcune logge a lui fedeli a patto di poter continuare a dirigere la «Rivista massonica» e bloccare l’ascesa del suo antagonista storico, il neuropsichiatra Fernando Accornero, che rappresentava all’epoca la tradizione risorgimentale e laica del GOI. Uno dei primi atti di Salvini fu la nomina di Licio Gelli alla carica di «segretario organizzativo» della loggia Propaganda n. 2. Pochi sapevano, anche nelle alte gerarchie del GOI, che questa loggia - fondata nel 1876 per accogliere in modo ‘riservato’ esponenti politici e alti funzionari dello Stato, in modo da non riproporre nelle logge le divisioni partitiche e porli al riparo da richieste di vario genere da parte di postulanti interni all’Istituzione - si stava trasformando in un centro d’affari che si sarebbe ben presto posto fuori da ogni controllo. A quanti mostrarono di nutrire dubbi e preoccupazione, Salvini rispose che Gelli - il cui nome gli era stato indicato da un fratello di grande prestigio come Roberto Ascarelli - era un uomo di enormi capacità organizzative, e che la loggia di cui era segretario si atteneva alle antiche tradizioni massoniche. Affermazione, questa, che sarebbe stata tuttavia seccamente smentita dalle finte iniziazioni condotte alla presenza dell’ex Gran Maestro e dall’autonoma gestione delle tessere condotta da Gelli con l’assenso di Salvini. La Propaganda finì così per perdere le caratteristiche di una loggia (certamente particolare, tenuto conto del rango degli iscritti, ma pur sempre sottoposta ai doveri e ai diritti di tutte le altre officine del GOI) per assumere via via quelle di un aggregato - che non si riuniva mai - composto di ufficiali, generali, politici, alti funzionari, banchieri, affaristi, giornalisti e vip fuori da ogni controllo costituzionale e senza rapporti con gli altri fratelli della Comunione giustinianea. Tuttavia, essendo protetta dal Gran Maestro e da alcuni suoi collaboratori, essa continuò a rimanere un organismo del GOI, finendo così per coinvolgere l’intera Istituzione nella sua pericolosa evoluzione e fissare nell’immaginario collettivo un giudizio negativo. A un certo punto Salvini si rese però conto che la situazione stava sfuggendogli di mano e, pensando di poter contare su un forte prestigio interno e internazionale, tentò di ridimensionare la figura di Gelli. Durante i primi tre anni del suo mandato egli aveva effettivamente portato a buon fine alcune operazioni che avevano contribuito a rafforzare l’immagine del GOI. Il 13 settembre 1972 venne ufficializzato il riconoscimento inglese. Il merito dell’evento, che venne esaltato con toni trionfali dal Gran Maestro in una «balaustra» inviata a domicilio a ogni singolo fratello, spettava in realtà a Gamberini anche se sul documento compariva in calce solo la firma di Salvini. Cinque giorni dopo veniva compiuto un ulteriore passo sulla strada della definitiva riunificazione della massoneria italiana, attraverso la fusione di un’Obbedienza di Piazza del Gesù guidata da Tito Ceccherini (sostituito, alla sua morte, da Francesco Bellantonio). Sull’onda del Concilio Vaticano II, dalla Chiesa cattolica giunsero i primi segnali di una cauta apertura e si fece sempre più concreta la speranza che la scomunica comminata ai fedeli ascritti alla liberamuratoria fosse in procinto di essere abrogata. Il cammino era ancora lungo, ma la lettera inviata nel 1974 dal cardinale Seper, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, al cardinale Krol, presidente della Conferenza episcopale nordamericana, nella quale si precisava che il canone 2335 del Codice di diritto canonico coinvolgeva «soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che veramente cospirano contro la Chiesa» parve ai dirigenti del GOI un ottimo inizio. In questo clima il numero degli iscritti alle logge crebbe da circa 6000 a circa 18.000, ma, è bene precisare, tale incremento straordinario poté verificarsi anche perché furono ridotti al minimo i controlli messi in atto nella valutazione dei profani, che chiedevano di entrare con i metodi e le tecniche partitiche di tesseramento tipiche della prima repubblica, la cui pratica assicurò una solida maggioranza al Gran Maestro. In questo contesto Salvini pensò di riprendere in mano la P2, ma Gelli riuscì, in virtù delle amicizie influenti strette nel corso di quegli anni, a stipulare un accordo che di fatto sdoppiava la Propaganda, dando vita a una loggia ufficiale composta da circa 40 membri, in maggior parte pensionati, e al contempo a un organismo che, non possedendo più i connotati di una loggia, sarebbe stato da quel momento da lui stesso gestito con pieni poteri e sottratto ad ogni controllo. Tra quanti erano a conoscenza della grave degenerazione che si stava producendo, pochi espressero pubblicamente la propria posizione: tra questi, alcuni vennero espulsi, come capitò a Francesco Siniscalchi; altri, dopo aver subito un processo massonico, si appartarono, come fece Augusto Comba. Ma il progetto, più affaristico che politico, di quello che veniva comunemente chiamato «il Venerabile» procedeva e le prime indiscrezioni cominciarono a essere riportate dalla stampa, alimentando così il pregiudizio nei confronti della massoneria. Tali indiscrezioni allarmarono le Gran Logge americane che, da parte loro, minacciarono di sospendere i riconoscimenti. A quel punto Salvini, già abbandonato dai suoi più importanti collaboratori, decise di lasciare la carica prima della scadenza. A questi successe il generale dell’aviazione a riposo Ennio Battelli, sostenuto da Gamberini e da quanti avevano fatto parte dell’entourage salviniano. La P2 era ormai diventata un organismo totalmente indipendente, anche se di fatto continuava a contare su una copertura massonica dovuta al fatto che il Gran Maestro Battelli non l’aveva mai sconfessata né denunciata pubblicamente come fenomeno controiniziatico ed estraneo al mondo massonico. La classica goccia che fece traboccare il vaso si ebbe con la pubblicazione, sul «Corriere della sera» del 5 ottobre 1980, di un’intervista rilasciata da Gelli a Maurizio Costanzo, nel corso della quale il Venerabile esponeva un «piano di rinascita democratica» di chiaro stampo conservatore. La magistratura diede avvio alle indagini e il 17 marzo 1981 la Guardia di finanza effettuò nell’abitazione di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi una perquisizione, che permise il ritrovamento di una lista contenente 953 nominativi di affiliati alla P2. L’elenco riportava i nomi di generali, alti funzionari dello Stato, dirigenti dei servizi segreti, grandi imprenditori, editori e giornalisti, e lo scandalo che produsse travolse il governo presieduto da Arnaldo Forlani. Ovviamente tutti questi personaggi non potevano definirsi massoni, non avendo ricevuto, nella stragrande maggioranza dei casi, una regolare iniziazione o non avendo mai messo piede in una loggia massonica; ma il fatto stesso che la presenza di questo organismo anomalo non fosse stata denunciata dai vertici dell’Istituzione gettò pesanti ombre e sospetti sull’intera istituzione massonica. I tentativi di difesa messi in atto da Battelli si dimostrarono sostanzialmente inutili e si cercò di correre ai ripari di fronte a una campagna di stampa che minacciava di distruggere il GOI. Sostituendosi di fatto a un Gran Maestro incapace di prendere opportune decisioni e travolto dagli eventi, la Corte centrale della giustizia massonica giunse alla condanna e all’espulsione di Gelli nell’ottobre del 1981. Giovanni Spadolini, subentrato a Forlani alla guida del governo, istituì una commissione parlamentare d’inchiesta e rese operativo l’articolo 18 della Costituzione riguardante le società segrete, disponendo, con la legge n. 17 del 25 gennaio 1982, lo scioglimento della P2. Il GOI non venne colpito da alcun atto restrittivo poiché sia la commissione d’inchiesta sia la magistratura in tempi successivi ritennero che la P2 fosse una deviazione con coperture individuali e un fenomeno estraneo alla tradizione massonica giustinianea. A questa convinzione si arrivò anche grazie al ruolo svolto nella vicenda dell’espulsione di Gelli dal nuovo Gran Maestro Armando Corona, medico sardo e dirigente del Partito repubblicano eletto il 28 marzo del 1982. Amico personale di Ugo La Malfa, Corona aveva rivestito la carica di presidente della regione Sardegna ed era un politico molto esperto. Conosceva bene gran parte della classe politica italiana, ed essendo dotato di un’indubbia intelligenza e di una buona dose di astuzia non si fece impressionare né scoraggiare dal crucifige cui venne sottoposto il GOI da parte del mondo politico giornalistico, il quale, da parte sua, nascondeva ben altri scheletri nei propri armadi. A quel punto era comunque necessario fronteggiare la valanga di accuse e insinuazioni che con grande compiacimento i media riversavano sulla massoneria italiana. Corona provvide innanzitutto a rintuzzare con una serie di querele le calunnie più smaccatamente false. Quindi il nuovo Gran Maestro, assai sensibile alla pubblica opinione ma assai meno data anche la sua limitata anzianità massonica alla continuità della tradizione, si dispose a introdurre rapidamente quelle modifiche normative che potevano assicurare all’Ordine una maggiore funzionalità e una più solida protezione dagli addebiti impropri che le venivano rivolti. Inoltre, allo scopo di ridare al GOI un’immagine dignitosa si cominciò anche a prendere in considerazione l’uso di un altro strumento di riqualificazione dell’Istituzione, di cui il Gran Maestro, pur non essendo uno studioso di discipline storiche o filosofiche, intuiva la grande importanza: lo strumento culturale. Nel 1984 fu varata la nuova Costituzione col relativo regolamento. Fra le innovazioni più rilevanti figuravano: l’abolizione del giuramento e dei “cappucci e delle spade”; il cambiamento del meccanismo elettorale, congegnato in modo da ostacolare i condizionamenti che si erano verificati all’epoca di Salvini, introducendo l’elezione diretta e, nell’ipotesi non si fosse raggiunto il quorum della maggioranza assoluta, il ballottaggio riservato ai Maestri Venerabili da svolgersi durante la Gran Loggia; la nomina diretta del Gran Segretario (la cui carica cessava così di essere elettiva) da parte del Gran Maestro. Superata la crisi della P2 e avviata la risoluzione dei problemi che si erano presentati negli anni precedenti, i fratelli del GOI si mostrarono nuovamente animati da un senso di sicurezza nel condurre i lavori delle logge ripopolate e desiderosi di riproporsi all’esterno, come avvenne in occasione del convegno storico dedicato a temi risorgimentali - intitolato La liberazione d'Italia nell'opera della Massoneria - che si svolse a Torino nel settembre 1988, a cui presero parte 14 relatori italiani e 8 stranieri. Ma si era ormai vicini alla scadenza del quinquennio, che seguiva un precedente mandato triennale, della gran maestranza di Armando Corona. Così come aveva fatto Gamberini con Salvini, allo stesso modo Corona cercò un successore che fosse disposto a preservargli di fatto l’incarico. La scelta cadde su Giuliano Di Bernardo, professore di filosofia della scienza a Trento e autore di un volume dedicato alla filosofia della massoneria, che si proponeva come “guida spirituale” dell’Istituzione. Se da una parte l’accesso di quest’ultimo alla cattedra universitaria nell’ateneo trentino durante gli anni della contestazione metteva in luce la sua abilità politica, dall’altra accentuava in lui una già spiccata tendenza al narcisismo. La sua stessa carriera massonica aveva d’altro canto seguito un percorso atipico - svoltasi in buona parte ‘al coperto’, come egli stesso aveva chiesto nel 1972, giustificando tale decisione col fatto di essere impegnato professionalmente «in un ambiente particolarmente difficile come quello dell’università di Trento» - privo di quel tirocinio auspicabile all’interno degli organi direttivi dell’Istituzione. Non è improbabile che tali circostanze, generando in lui una serie di veri e propri complessi, abbiano influito sul suo successivo comportamento, rendendolo da un lato insofferente verso la maggioranza dei massoni, da lui ritenuti culturalmente impreparati, e facendogli tenere, dall’altro, un atteggiamento incerto e confuso nei confronti di quegli avversari esterni alla massoneria che Corona trattava invece con la più serena disinvoltura. Di Bernardo assunse a un certo momento inspiegabili atteggiamenti di sfida nei confronti della Chiesa cattolica; dichiarò irritualmente, in quanto Gran Maestro del GOI, il suo appoggio al partito socialista e provocò, infine, non pochi disastri in occasione del confronto avvenuto col pubblico ministero Agostino Cordova, che aveva dato vita a una spettacolare operazione giudiziaria nei confronti della massoneria - da lui considerata alla stregua di un gruppo colluso con la grande criminalità organizzata- i cui presupposti furono tuttavia smentiti clamorosamente dagli esiti dei procedimenti intentati. Colui che in quell’occasione avrebbe più di ogni altro dovuto impegnarsi nella difesa della liberamuratoria, ossia il Gran Maestro, si mostrò purtroppo a tal punto atterrito da non saper fare altro che avallare il teorema formulato dal magistrato, dimostratosi in seguito del tutto infondato, tanto che il processo verrà archiviato in assenza di elementi di reato, escludendo che nella condotta del Grande Oriente d’Italia o di qualsiasi esponente o anche iscritto vi fossero estremi dei reati contestati (l’associazione segreta e la violazione dell’art. 416 c.p.), o anche azioni e/o attività scorrette ed eticamente censurabili. Nel frattempo, quando l’inchiesta era ancora in corso, due organizzazioni massoniche straniere, che a quell’epoca vantavano almeno un ventennio di rapporti di stretta amicizia col GOI e che, perciò stesso, avrebbero dovuto essere in grado di valutare chiaramente l’assurdità delle accuse che venivano mosse ai loro fratelli italiani - cioè la Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la Gran Loggia Nazionale Francese -, decisero di abbandonare il GOI alla propria sorte, avvallando di fatto una sorta di ‘8 settembre massonico’ organizzato sotto forma di una fuga repentina e irresponsabile del Gran Maestro e di un’immediata mise en place di un’entità sostitutiva. Questa nuova organizzazione massonica, cui venne dato il nome di Gran Loggia Regolare d’Italia, nacque il 17 aprile l993, previa registrazione effettuata di fronte a un notaio il giorno precedente. La Giunta del GOI, dopo aver appreso con stupore le decisioni di Di Bernardo, comprese subito che la partita si sarebbe giocata anche sul piano delle relazioni internazionali massoniche. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, dopo una serie di inutili abboccamenti affidati ad Armando Corona, il 10 giugno comunicò la sospensione delle relazioni col GOI: a questa decisione seguirono la revoca del riconoscimento (8 settembre) e il trasferimento dello stesso (8 dicembre successivo) all’organizzazione dibernardiana. Tuttavia, il risultato che si sperava di ottenere con una tale operazione, e cioè lo smottamento del GOI verso quest’ultima, non si verificò. La stragrande maggioranza degli affiliati e tutti i membri della Giunta, anche coloro che erano stati i più stretti collaboratori di Di Bernardo, fecero quadrato a difesa dell’Istituzione. Nessun alto dignitario seguì il transfuga e la reggenza venne affidata ai Gran Maestri Aggiunti Eraldo Ghinoi ed Ettore Loizzo. Con i membri superstiti della Giunta riorganizzarono le fila, incaricando il Gran Oratore, l’attuale Gran Maestro Gustavo Raffi, di difendere pubblicamente e legalmente l’immagine del GOI. Sul fronte delle relazioni internazionali il Gran Maestro reggente Ghinoi si recò con successo negli Stati Uniti, fruendo dei canali del Rito di York che si dimostrarono fondamentali, per far conoscere ai fratelli d’oltreoceano la reale situazione che si era creata. Questo intenso lavoro - nei confronti dell’opinione pubblica da parte della Giunta e del Gran Oratore e in campo massonico con intense trattative diplomatiche svolte dai Gran Maestri Reggenti che permisero al GOI di mantenere la stragrande maggioranza dei riconoscimenti delle altre obbedienze sorelle – impegnò l’Istituzione a tutti i livelli e furono otto mesi cruciali per la vita della massoneria giustinianea. Ma restava ancora da affrontare la più difficile e decisiva prova a livello internazionale. Dal 19 al 22 febbraio 1994 si tenne a Washington il congresso annuale dei Gran Maestri della massoneria americana, che aveva inserito nell’ordine del giorno dei lavori di deliberare sulla richiesta di revoca del riconoscimento del GOI presentata da Di Bernardo e appoggiata dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra: la decisione della Commissione americana per i riconoscimenti fu però favorevole ai massoni di palazzo Giustiniani, e avallò l’azione difensiva messa in campo durante il periodo della reggenza. Nel frattempo, nell’assemblea straordinaria tenutasi nel dicembre del 1993 fu eletto l’avvocato civilista Virgilio Gaito, che in più occasioni si era espresso per il definitivo superamento della lunga sequela di problemi legali creati al GOI dall’ostilità proveniente dall’ambiente esterno. Gaito fu fin dall’inizio molto attivo nella difesa dell’Istituzione, rivolgendo numerosi messaggi alle autorità del paese in un momento in cui cominciava a prendere corpo un’offensiva generale contro la liberamuratoria italiana, condotta mediante provvedimenti che avevano lo scopo di inibire ai massoni la possibilità di ricoprire cariche pubbliche (come avvenne nella regione Marche), di svolgere attività all’interno dei partiti e accedere alla magistratura, su proposta del Consiglio superiore della medesima. . La gran maestranza di Gaito prendeva le mosse, come si è detto, in un momento assai delicato in cui l’opinione pubblica era rimasta fortemente impressionata dalle dichiarazioni fatte dal pubblico ministero Cordova, non di rado pesantemente e calunniosamente stravolte e commentate dai media; un contesto in cui la diffusa ostilità mostrata verso l’Istituzione ebbe pesanti riflessi - che durarono alcuni anni - sulla consistenza numerica e sulle adesioni al GOI. Era pertanto logico che un obiettivo prioritario del Gran Maestro fosse quello di lottare contro un tale stato di cose, utilizzando una corretta informazione e dando concrete dimostrazioni della limpidezza morale del sodalizio. Con estremo rigore vennero pertanto perseguiti e sospesi gli iscritti, anche solo per il fatto di aver ricevuto avvisi giudiziari ipotizzanti reati infamanti, e che non davano assoluta garanzia di ineccepibile moralità e di totale estraneità ad accuse di collusione mafiosa; accuse che, peraltro, erano nella quasi totalità dei casi motivate dall’esistenza delle pseudo logge che nulla avevano da spartire con il GOI. Questo rigore, necessario e giustificabile per garantire l’immagine e l’integrità morale dell’Istituzione, venne anche applicato, con eccessi repressivi, nei confronti di coloro, in particolare apprendisti e compagni d’arte, che in buona fede avevano seguito Di Bernardo e che, accortisi dell’errore, volevano rientrare nel GOI. A questa strategia difensiva, di argine agli attacchi esterni e interni, non seguì però un progetto culturale d’intervento e di dialogo nei confronti della società: ciò comportò il ripiegamento dell’Istituzione su una concezione statica del concetto di tradizione e una rinuncia alla storicizzazione dei principi alla base della liberamuratoria. In questo modo il GOI rinunciava alla sua peculiarità storica di coscienza critica formatasi in due secoli di lotte per la difesa dei principi di laicità, di progresso, di democrazia e di dialogo tra tutte le componenti della società. La massoneria doveva tornare a essere un interlocutore nella società, a fornire le proprie idee per concorrere alla soluzione dei problemi che si ponevano all’umanità, riallacciando un rapporto con la società civile e contribuendo alla difesa della propria immagine che alle soglie del nuovo millennio appariva alquanto sbiadita. Tuttavia, nel corso di questi anni emerse progressivamente uno zoccolo duro di fratelli che, dopo aver fatto fronte a tutte le avversità, mostravano di essere animati da nuovo fervore e sentivano pertanto l’esigenza di imprimere una svolta alla liberamuratoria italiana: era giunto il momento di uscire da quell’atmosfera di inattività e vittimismo che aveva contrassegnato troppe stagioni dal 1945 fino a quel momento. Questi fratelli mostrarono di nutrire fiducia nel programma messo a punto dall’avvocato ravennate Gustavo Raffi, che, dopo aver ricoperto la carica di Grande Oratore all’epoca di Di Bernardo, nel marzo del 1999 assunse quella di Gran Maestro. Raffi era mosso dalla convinzione che dopo un’epoca dominata dall’imperativo della difesa era giunto il momento di cambiare e di ripartire all’attacco: time for a change. L’obiettivo che fin dall’inizio del suo mandato si pose il nuovo Gran Maestro fu quello di coniugare l’enorme potenzialità conseguita mediante l’iniziazione massonica con un concreto impegno civile nella società. Tale opera di rinnovamento segnò una cesura con i vecchi schemi del passato che avevano contraddistinto la storia degli ultimi decenni, portatori di una cultura spiritualmente e intellettualmente inadeguata rispetto ai principî e ai valori perenni sui quali venne fondata la stessa istituzione massonica. Inizialmente questo progetto fu contrastato da alcuni settori dell’Istituzione che paventavano una profanizzazione dell’identità massonica, non cogliendo che il nuovo corso aveva come linea guida un forte richiamo alla tradizione nel segno della contemporaneità. La parola d’ordine della nuova gran maestranza si racchiudeva nel binomio Tradizione e Innovazione. Il GOI, pur guardando con orgoglio al suo glorioso passato, fatto di uomini che avevano dedicato la loro vita per il bene dell’Uomo e dell’Umanità, doveva essere nuovamente un corpo vivo e propositivo, pur nel rispetto della sua profonda e irrinunciabile tradizione esoterica, ed era chiamato a contribuire in modo originale e costruttivo alla soluzione di problemi centrali della società moderna. Per realizzare tutto questo occorreva che i massoni del GOI ritrovassero, attraverso una continua critica e verifica delle proprie idee, un punto di equilibrio tra la ricerca esoterica e l’impegno sociale, coniugando in sé, in un nuovo umanesimo, spiritualità e scientificità. La massoneria di Palazzo Giustiniani doveva essere pronta a raccogliere, grazie al suo patrimonio iniziatico, la sfida posta dagli interrogativi del nuovo millennio in difesa di quegli ideali di libertà, tolleranza, fratellanza e solidarietà che devono essere non solo un patrimonio dei liberimuratori, ma dell’umanità intera. Questo ambizioso programma necessitava di una nuova strategia della comunicazione verso la società e la pubblica opinione con una ventata di trasparenza che chiarisse il ruolo e le finalità etiche, culturali, sociali ed educative della liberamuratoria utilizzando i mezzi di comunicazione di massa e telematici. Accanto alla rivista «Hiram», che è diventata una apprezzata fonte - per il mondo profano - di conoscenza del dibattito che percorre il mondo latomista in merito alle riflessioni sull’uomo, sulla società e sulle tematiche esoteriche, etiche, filosofiche, storiche e spirituali, il GOI, al passo con i tempi, si è dotato di un sito internet (www.grandeoriente.it) e recentemente, al suo interno, di una radio on-line, efficace mezzo per diffondere le iniziative promosse, attraverso interviste, corsi e lezioni di carattere esoterico, storico e culturale, programmi di musica massonica e riprese anche in diretta di convegni e manifestazioni. Le Gran Logge, pur conservando la loro funzione di massime assise interne dell’Ordine, si sono trasformate in un annuale appuntamento che costituisce, anche per il mondo profano, un importante avvenimento culturale di incontro e confronto con i liberi muratori del GOI in cui vengono affrontati temi nodali come la centralità e la città dell’uomo, le vie del dialogo, il diritto alla felicità. La partecipazioni di insigni studiosi, intellettuali, scienziati e artisti ai dibattiti e agli spettacoli, organizzati contemporaneamente ai lavori delle Gran Logge, sono la dimostrazione dell’attenzione che il mondo culturale e scientifico dimostra al nuovo corso impresso al GOI. Ma non solo le Gran Logge sono diventate un momento di apertura al mondo profano. Altre innumerevoli iniziative organizzate dalla Giunta adempiono a questa funzione di divulgazione del pensiero della liberamuratoria in modo da evidenziarne la trasparenza, a partire dal tradizionale appuntamento del XX settembre, che da riunione autocelebrativa di un passato glorioso ma consegnato alla storia, si è trasformato in un momento di riflessione e dibattito sui temi cari al pensiero massonico, coinvolgendo personalità come i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Rigoberta Menchú e illustri studiosi profani come Margherita Hack, Piero Craveri, Massimo Teodori. Numerosi sono stati i convegni e le giornate di studio organizzate a livello nazionale e locale dove non solo si sono affrontati i tradizionali temi storici ed esoterici, come era avvenuto in passato, ma si sono discussi problemi come quello della laicità dello stato, dell’istruzione pubblica, della bioetica, della globalizzazione, dei diritti umani, del fenomeno dei fondamentalismi, che mettono in pericolo la pace e fomentano l’odio e la guerra. E questi momenti di riflessione si sono svolti ponendo a confronto, intorno a uno stesso tavolo, uomini di fedi religiosi e idee politiche diverse con lo stesso spirito di dialogo e rispetto con cui si riunivano, agli albori della liberamuratoria speculativa, i massoni inglesi nelle taverne londinesi. In questi anni il Grande Oriente d’Italia si è impegnato nelle grandi battaglie a favore della scuola pubblica, per la libertà di ricerca scientifica, per la riaffermazione del pensiero laico, per i diritti delle minoranze e perché la globalizzazione possa essere tale anche per i diritti umani. Grazie a questa incisiva presenza nella società, la massoneria è oggi tornata ad assumere un importante ruolo attivo e ha riconquistato una propria riconosciuta presenza costruttiva e propositiva. Anche l’energica e determinata azione legale in difesa della onorabilità e dei diritti costituzionali di cui i massoni, come cittadini di uno stato di diritto e democratico, devono godere, ha ottenuto notevoli risultati. Nel 2001 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso presentato dal GOI contro la legge regionale delle Marche, che obbligava chi concorre per cariche pubbliche a dichiarare la propria «non appartenenza alla massoneria», condannando lo stato italiano per aver violato, in pregiudizio dei massoni, la libertà di associazione. Solo nel 2005 la Regione Marche ha abrogato le norme che discriminavano i liberimuratori. Pertanto con il nuovo millennio si è aperta una stagione di rispetto, di dialogo, di confronto con il mondo profano che chiede sempre di più di conoscere, di capire la liberamuratoria. Ed è allo scopo di rispondere a questa voglia d’informazione e conoscenza che la biblioteca centrale, dopo anni di totale abbandono, è stata completamente rinnovata e si è arricchita di migliaia di volumi diventando una prestigiosa struttura culturale, nell’ambito del quale si tengono con frequenza presentazioni di libri, incontri e discussioni con autori, editori e intellettuali, profani e non. Lo stesso dicasi per l’archivio storico che è stato aperto agli studiosi che hanno potuto accedere alle fonti originali per completare i loro studi e dare alle stampe fondamentali opere storiche come la storia della massoneria dal Risorgimento all’avvento del fascismo di Fulvio Conti e del Grande Oriente in esilio di Santi Fedele, solo per citare le opere più recenti e di respiro nazionale. Con questa apertura voluta dal Gran Maestro Raffi il GOI non è stato più oggetto da parte dei mass-media di campagne di demonizzazione, che lo avevano identificato con il lato oscuro della società, perché l’opinione pubblica ha capito che i massoni sono uomini che non hanno certezze dogmatiche, non si ritengono depositari di nessuna verità. Sono al contrario uomini del dubbio, che sanno di non sapere, e che nelle logge non tramano o complottano ma studiano e si impegnano a essere laici, aperti e tolleranti, proprio perché diversi e molteplici sono i modi di essere degli uomini nella società. Quindi non assertori di un relativismo post-moderno, ma uomini alla continua ricerca della verità attraverso il sapere, il dialogo, la solidarietà e la tolleranza. Con il fine di condividere, attraverso una incisiva opera di trasparenza e di comunicazione, con la società italiana i valori universali che derivano dalla tradizione bicentenaria del GOI e plurisecolare della liberamuratoria. Il rispetto di cui la massoneria di Palazzo Giustiniani gode ora da parte del mondo profano è anche il frutto di un franco esercizio di responsabile autocritica sul proprio passato e un continuo interrogarsi sui modi di rapportarsi e di comunicare con la società civile, con la capacità di presentarsi con le proprie idee, principî e proposte, rivendicando con orgoglio la propria tradizione e il proprio modo di essere, al fine di contribuire al dibattito culturale e sociale e al benessere dell’umanità in modo critico e originale. Ma la trasparenza, il dialogo con la società, il dibattere temi d’attualità non ha voluto dire rinunciare al senso della riservatezza, che deve riguardare i lavori rituali e la vita privata dei fratelli. La ricerca esoterica e la ritualità costituiscono una parte fondamentale della tradizione massonica del GOI. Il lavoro nelle logge è rimasto il principale mezzo per il miglioramento dei massoni e il rito e la simbologia sono un momento indispensabile per la maturazione e la crescita dell’iniziato e quindi, di conseguenza, dell’officina e dell’Istituzione. Non è altresì diminuito il secolare impegno di sostegno umano e finanziario verso diverse istituzioni, massoniche e profane, che svolgono un’azione di solidarietà nei confronti dei più deboli e di tutela dei diritti umani. Questa nuova immagine seria e positiva che il GOI ha acquisito in questi anni ha avuto ricadute positive anche nelle relazioni con le Obbedienze massoniche regolari e si sono ottenuti concreti risultati sul piano della credibilità. In questo quinquennio si è registrato un costante aumento di reciproci riconoscimenti e la ripresa di alcuni rapporti (Svizzera, Spagna, Belgio e Portogallo) in passato sospesi o interrotti a causa delle note vicende del decennio scorso. L’apertura verso l’esterno è stata anche accompagnata, durante la gran maestranza di Raffi, da una vigorosa azione di rinnovamento della struttura e da significative riforme per eliminare disfunzioni organizzative e procedure elettorali che potevano favorire fenomeni riprovevoli come i voti di scambio o la creazione di logge solo a fini elettorali. Ci riferiamo alla riforma elettorale fondata sul principio Un Maestro, Un Voto approvata nel 2000, che impedisce condizionamenti interni ed esterni, rende inutile la costituzione di logge per meri fini elettorali e assicura la libertà e la segretezza del voto. Un altro punto qualificante della riforma è stata l’introduzione del sistema della lista bloccata (il voto per il Gran Maestro vale anche per i membri della Giunta da lui proposti), che ha evitato nelle elezioni del 2004 e per quelle che si terranno in futuro il rischio di giunte difficilmente governabili perché composte con membri di altre liste. Lo stesso principio è stato applicato per l’elezione dei presidenti e dei dignitari dei Collegi circoscrizionali dei Maestri Venerabili. Accanto a queste riforme un altro grande sforzo è stato fatto nella direzione della razionalizzazione e miglioramento delle strutture amministrative e nell’acquisizione di nuove case massoniche per consentire i lavori delle logge in templi prestigiosi e funzionali, e grazie alla pubblicazione del bollettino «Erasmo Notizie» tutti i fratelli della Comunione sono sempre stati aggiornati sul lavoro della Giunta, sulle attività coordinate a livello nazionale e periferico e sugli articoli che i mass-media dedicavano al GOI. Come conseguenza tangibile della politica di trasparenza e del clima d’ottimismo che si è creato nel quinquennio 1999-2004, il GOI, dopo anni di flessione degli iscritti, ha riguadagnato consensi e incrementato il numero degli affiliati fino a superare la quota 15.000, abbassando, nel contempo, l’età media dei suoi membri a 53 anni e quella dei nuovi dei nuovi affiliati a 43 anni. Nelle elezioni del 2004 il Gran Maestro Gustavo Raffi è stato riconfermato per il prossimo quinquennio insieme alla sua lista composta da Massimo Bianchi e Giuseppe Anania, Gran Maestri Aggiunti; Sergio Longanizzi, Primo Sorvegliante; Ugo Bellantoni, Secondo Gran Sorvegliante; Brunello Palma, Grande Oratore; Antonio Catanese, Gran Tesoriere e Giuseppe Abramo, Gran Segretario. Trasparenza e dialogo sono state le parole d’ordine della lista Raffi per il prossimo mandato che scadrà nel 2009 e la maggioranza dei Maestri Massoni del GOI, riconfermando la fiducia al Gran Maestro, desiderano che si continui quel processo di rinnovamento che ha contribuito a togliere l’Istituzione dall’isolamento e creato le premesse per una maggiore conoscenza e considerazione dei principi e delle finalità della massoneria. Le manifestazioni svoltesi nel 2005 in occasione del bicentenario della fondazione del GOI, primo grande impegno della nuova Giunta, sono state l’occasione per ribadire questi principi perché, come ha detto il Gran Maestro, «da duecento anni il Grande Oriente d’Italia si pone come una Istituzione di Uomini liberi i cui destini si sono intrecciati con la storia del progresso e delle conquiste democratiche del nostro Paese. Queste le ragioni che ci hanno indotto a proporre alla società e agli stessi Liberi Muratori un lungo viaggio attraverso la massoneria, per visitarne e studiarne gli aspetti storici, ideali, sociali, pedagogici ed esoterici: le tappe di un cammino che si è sviluppato per duecento anni possono sicuramente offrire una chiave di lettura in più dei grandi avvenimenti e delle grande trasformazioni che hanno contrassegnato le dinamiche della storia patria e, nel contempo, contribuire a eliminare interessati pregiudizi che ancora, anche se in misura minore, sopravvivono nei nostri confronti. La massoneria - ha aggiunto il Gran Maestro Raffi - è un’Istituzione che, nelle sue finalità, nella sua progettualità non ha nulla da nascondere. È parte viva della società civile cui intende portare il proprio contributo di uomini e di idee. Non siamo una società segreta e non tolleriamo Logge coperte: la nostra è una Istituzione esclusivamente dedita alla diffusione e promozione dei valori di tolleranza, libertà, uguaglianza, dialogo civile e fratellanza, il Grande Oriente d’Italia si è, infatti, da sempre battuto per la difesa di valori universali, contribuendo, per esempio, alla redazione della Carta dei diritti dell’uomo, dando vita a organismi internazionali finalizzati alla difesa o al ripristino della pace; si adopera nel campo dell’intervento umanitario, nel volontariato e in altre attività di carattere solidale e ovunque sia in gioco la libertà e la dignità dell’essere umano; è impegnato nella difesa della libertà della scienza nei confronti di ogni fondamentalismo; crede fermamente nella scuola pubblica per promuovere il principio della libertà religiosa, educare al rispetto di tutte le fedi ed escludere qualsiasi processo di ghettizzazione. Attraverso le celebrazione per i nostri duecento anni di storia intendiamo rilanciare il senso del nostro rinnovato impegno e della nostra capacità di offrire nelle Logge un momento di ricerca, di educazione civile, etica e morale: una ricchezza che mettiamo a disposizione del Paese per rafforzarne e accrescerne i valori su cui esso si fonda».

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